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Il caso Santangelo: RIAA grazia la madre, ma persegue i figli in tribunale

06/01/2007
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Archivio - Fino a dove può spingersi la tracotanza dell'industria discografica americana nella "santa crociata" contro il P2P? Fino a ritirare la denuncia nei confronti di una madre, e perseguire i figli... I dettagli.

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Il pezzo che stai leggendo è stato pubblicato oltre un anno fa. AvvisoLa trattazione seguente è piuttosto datata. Sebbene questo non implichi automaticamente che quanto descritto abbia perso di validità, non è da escludere che la situazione si sia evoluta nel frattempo. Raccomandiamo quantomeno di proseguire la lettura contestualizzando il tutto nel periodo in cui è stato proposto.

L'industria musicale americana ha ritirato la denuncia di download illegale a mezzo P2P nei confronti di Patti Santangelo, depositando la rinuncia presso la corte di New York questo dicembre. La signora, che si è sempre professata innocente, era stata accusata di condividere file protetti da copyright, accusa infine ritirata dai legali del business, per evidente incapacità Santangelo di adoperare i sofisticati strumenti informatici necessari per compiere il presunto crimine di sharing di MP3. Purtroppo per lei, ad ogni modo, la questione non è affatto chiusa...

L'odissea legale della signora Patti Santangelo comincia circa 2 anni fa. Come altri 20.000 (circa) cittadini statunitensi, Santangelo viene accusata di condividere illegalmente brani musicali protetti dai diritti d'autore. E come molti altri nelle sue stesse condizioni, gli viene offerta la possibilità di cavarsela a buon mercato, pagando la modica cifra di 7.500 dollari alla Elektra Entertainment.

01_-_Patti_Santangelo_vs._RIAA.jpgAl contrario di molti altri, però, la signora decide di rifiutare l'offerta di patteggiamento, riafferma la propria innocenza ed estraneità alla questione e decide di seguire fino in fondo l'iter legale della causa. Le etichette la accusano di aver condiviso 6 file sulla rete FastTrack, usata da quel Kazaa caduto in disgrazia per motivazioni esterne ed interne (si veda a riguardo questo articolo). Per quanto negli Stati Uniti la questione condivisione/download sia ancora dibattuta, quei 6 file sono comunque bastati ai molto ben foraggiati legali dell'industria per aprire un contenzioso legale con la donna.

Santangelo, che si è sempre professata innocente, ha poi effettivamente dimostrato di non essere in grado nemmeno di usare con piena cognizione di causa un computer, figurarsi piratare musica in rete. Da qui la decisione di ritirare la denuncia.

Ma siccome il potente establishment economico, che tenta disperatamente di difendere se stesso dall'evoluzione tecnologica degli strumenti di condivisione, non demorde tanto facilmente, ha bellamente deciso di rimanere in casa Santangelo, cambiando gli obiettivi della denuncia dalla madre ai figli. L'idea è che, vista l'incapacità della donna di fare il pirata, nondimeno in quella casa s'è compiuto un delitto telematico, e i probabili responsabili, secondo le etichette, sono appunto i suoi figli teen-ager, Bobby e Michelle, categoria notoriamente esperta di nuove tecnologie e pirateria informatica.

L'incubo dunque non è ancora finito per casa Santangelo, e nonostante l'apparente dismissione del caso gli attori in gioco rimangono sostanzialmente gli stessi: Jordan Glass, il legale della signora, ha respinto l'accusa, e la stessa donna, una volta vittima e ora madre delle vittime dell'arroganza persecutoria del carrozzone dell'industria musicale, ha promesso di continuare la lotta legale fino in fondo.

In una lettera aperta inviata a P2pnet.net in occasione delle festività natalizie, Santangelo ringrazia quanti hanno partecipato, attraverso donazioni pecuniarie o semplicemente dandole ragione e prendendo a cuore il suo caso, a quella che si prospetta potrebbe diventare l'ennesima pietra angolare dello scandalo della strategia legale di RIAA & sodali, finalmente spoglia della presunta difesa dei diritti degli artisti e mostrata sotto le sue vere sembianze.

Ironicamente, Patti Santangelo cita il recente caso di Edgar Bronfman, CEO della "grande sorella" Warner Music, che ha beccato il figlio a fare uso del file sharing per scaricare brani musicali illegali. In quell'occasione, dice, la cosa si è risolta "con una chiacchierata educativa", e il tutto è stato tenuto segreto all'interno della famiglia. "Ma il resto di noi", conclude Santangelo, "accusato di rubare musica dalla stessa compagnia, viene trascinato in tribunale, umiliato pubblicamente e messo in ginocchio nelle proprie finanze".

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