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Rapporto OECD: Il P2P non uccide la musica

23/06/2005
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Archivio - Uno studio dettagliato di una importante organizzazione internazionale fa chiarezza sulle tante mistificazioni sul Peer to peer create ad arte dai soliti noti..

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Il pezzo che stai leggendo è stato pubblicato oltre un anno fa. AvvisoLa trattazione seguente è piuttosto datata. Sebbene questo non implichi automaticamente che quanto descritto abbia perso di validità, non è da escludere che la situazione si sia evoluta nel frattempo. Raccomandiamo quantomeno di proseguire la lettura contestualizzando il tutto nel periodo in cui è stato proposto.

01_-_OECD_Logo.gifL'Organizzazione per Cooperazione e lo Sviluppo (OECD), importante istituto di studio e di ricerca ramificato in tutto il mondo, ha recentemente pubblicato un rapporto dettagliato sul fenomeno del file sharing e sulle sue conseguenze.

Oltre ad analizzare nel dettaglio le tante forme di file sharing, le numerose tecnologie adottate e i trend di crescita del fenomeno, il rapporto è particolarmente interessante perché, con la forza dei numeri e di indicazioni circostanziate, tende a confutare tutte le bugie che le associazioni di categoria come la Recording Industry Association of America (RIAA) hanno finora sbandierato come verità assolute, causa scatenante della guerra santa al Peer-to-peer a mezzo tribunali e cause legali.

"È molto difficile provare una relazione causale tra le dimensioni del calo delle vendite di musica e la crescita del file sharing", dice infatti il rapporto, sostenendo come il mercato delle vendite musicali sia condizionato da tanti fattori, "e la stessa industria musicale ha sottolineato che non è possibile quantificare con esattezza l'impatto del file sharing". La riduzione delle vendite è in realtà dovuta alle organizzazioni pirata che riproducono i supporti a scopo di lucro, la concorrenza di altre forme di intrattenimento come DVD-Video e videogiochi sempre più popolari in diverse fasce di età, e naturalmente il costo esorbitante dei dischi.

Inoltre, lo studio della OECD fa notare la costante riduzione della varietà dell'offerta musicale, conseguenza della politica dei produttori che li porta a spingere con ingenti risorse finanziarie le "hit" che sono in grado di offrire il margine di guadagno maggiore sul breve periodo, successi che inevitabilmente finiscono per circolare all'interno delle reti del P2P assieme a tutto il resto, e che non sono in grado, da soli, di sostenere l'intero settore.

02_-_New_Digital_Access.jpgLa tesi più importante contenuta nel Rapporto, comunque, è che in ogni caso il download di musica non induce chi condivide e scarica MP3 a sostituire del tutto il tradizionale acquisto di dischi, cosa che rende "difficile" stabilire con certezza "il costo del file sharing illegale". La ragione principale con cui RIAA giustifica le sue campagne legali è proprio questa, e nel rapporto viene fatta letteralmente a pezzi grazie all'evidenza dei fatti.

Mettendo a confronto i vari rapporti esistenti sull'argomento, infine, lo studio sostiene che se c'è qualche prova dell'impatto del file sharing sulle vendite, tale impatto è in ogni caso molto limitato.

Chiude in bellezza la valutazione secondo cui il fenomeno, pur se tra mille reti e tecnologie, sia in fase di crescita costante, come abbiamo avuto l'occasione di riportare il mese scorso.

Una prova autorevole della coscienza sporca dell'industria musicale che, non avendo il coraggio di affrontare i problemi reali dello sviluppo tecnologico e del suo impatto sull'economia e la società, ha trovato un comodo capro espiatorio a cui accollare ogni colpa e responsabilità...

L'attuale comportamento dell'industria ricorda quello di un dinosauro che ha paura di estinguersi, che non vuole aprirsi al nuovo per pigrizia mentale e convenienza del momento. Dopo aver perso l'opportunità di plasmare il settore alla nascita e alla diffusione di Napster, essa continua, diabolicamente, ad affannarsi a voler combattere qualcosa che semplicemente non è più controllabile.

L'industria continua a considerare il Peer-to-peer come una minaccia, invece che come un intero mondo di nuove opportunità, perché evidentemente non è capace di ripensare e reinventare se stessa in un mondo in cui i tradizionali distributori di contenuti devono necessariamente riconsiderare il loro ruolo per sperare di poter sopravvivere...

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