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I danni della pirateria spacciati dall'industria? Cifre prive di senso

24/11/2006
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Archivio - Lo denuncia, per la prima volta, un istituto australiano in uno studio pubblicato di recente. Le lobby anti-P2P hanno la lingua lunga e il naso... altrettanto.

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Il pezzo che stai leggendo è stato pubblicato oltre un anno fa. AvvisoLa trattazione seguente è piuttosto datata. Sebbene questo non implichi automaticamente che quanto descritto abbia perso di validità, non è da escludere che la situazione si sia evoluta nel frattempo. Raccomandiamo quantomeno di proseguire la lettura contestualizzando il tutto nel periodo in cui è stato proposto.

Farà male, non farà male, ma soprattutto quanto farà male. A sentire certi ciclici strali dei rappresentati dell'industria dell'intrattenimento e del software, quelle associazioni quali RIAA, MPAA, BSA e IFPI, sembra proprio che la pirateria, soprattutto quella telematica, sia un cancro mortale per la stessa industria, gli artisti, i consumatori e infine per la cultura e l'umanità intera.

01_-_Digital_Money.jpgCon generosità, lor signori che rappresentano i produttori a 15 zeri snocciolano cifre, grafici, proiezioni, lanciano strali, anatemi, trascinano minorenni e nonnine morte in tribunale e soprattutto si attivano con sempre rinnovato vigore in attività lobbistiche per condizionare i parlamenti di tutto il mondo (quello americano in primis) affinché promulghino leggi sempre più restrittive contro chi osa mettere in dubbio la monumentale validità, nei secoli dei secoli, di uno strumento legale (il copyright) nato quando la rete e la forza rivoluzionaria delle tecnologie di condivisione ancora non esistevano.

In questo forsennato agitarsi, tuttavia, l'industria non ha mai reso chiaro un particolare fondamentale, alla base di ogni possibile discorso sensato sulla lotta alla pirateria e sull'adozione di sanzioni commisurate ai danni: quanto quelle cifre sbandierate corrispondano al vero. Uno studio pubblicato dall'Istituto Australiano di Criminologia ha posto, per la prima volta, il dubbio che siano, se non inventate di sana pianta, quantomeno figlie di madre ignota. A segnalarlo è Australian IT.

Pare in effetti che le etichette musicali e quelle del software abbiano una particolare fantasia nel giocare coi numeri. Tra i tanti, emerge il dato interessante per cui quei 361 milioni di dollari di perdite annuali denunciati BSA, l'associazione internazionale delle software house, sono una cifra "non verificata ed epistemologicamente inaffidabile". Proprio così: non esiste nessuna prova scientifica della loro validità, sono, a quanto dice lo studio, numeri senza un riscontro reale. Quegli stessi numeri che spingono alcuni giudici a mandare in galera i downloader e i parlamentari a blindare una normativa (il copyright) che andrebbe invece aperta e riformata profondamente. Numeri falsi, aggiungiamo noi.

Naturalmente, gli angioletti di BSA e IFPI, la potente lobby internazionale dei discografari, assicurano sul fatto che quei numeri sono reali, eccome, un dato concreto di quanto l'industria vada a perdere, nei profitti legittimi, a causa della criminalità organizzata che spaccia CD falsi e degli assatanati da P2P che scaricano l'ultimo sistema operativo da BitTorrent. Si, ma come vengono ottenuti? Con studi effettuati localmente o sui mezzi interessati incrociati con altre fonti di cui le associazioni non vogliono riferire per evitare di avvantaggiare i pirati.

Una talpa nella criminalità organizzata dei falsi o negli sviluppatori del codice open di eMule? Agenti segreti CIA che forniscono dati classificati attraverso l'Intellipedia? Babbo Natale? Top secret, l'industria non parla. Intanto, provoca grossa ilarità, almeno a chi scrive, l'idea che si voglia fermare il progresso tecnologico e la rivoluzione dal basso del P2P e del content sharing con numeri apparentemente inventati di sana pianta. Cifre che, ora più che mai, debbono far riflettere...

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