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Tanya Andersen porta RIAA alla sbarra

19/03/2008
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Archivio - Una delle vittime più celebri dell'organizzazione delle major procede spedita sulla strada del contrattacco, dando il là a una class action che potrebbe mettere la parola fine al gioco sporco dei discografici contro gli utenti del P2P.

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Tanya di cognome fa Andersen, ma piuttosto che raccontare favole come il celebre autore europeo ha appena dato il via al peggiore incubo che RIAA potrà mai vivere: dopo essere stata prosciolta dall'accusa di condivisione non autorizzata, la donna ha scelto di non divenire l'ennesima vittima sacrificale dei discografici ma piuttosto di portare in tribunale l'intera strategia legale fin qui seguita dall'organizzazione nel contrasto al file sharing.

Sopravvissuta alle angherie di RIAA, la signora dell'Oregon a cui i discografici volevano torchiare anche la giovanissima figlia Kylee, ha sfruttato la possibilità della formula "con pregiudizio" con cui è stato dismesso il precedente processo che la vedeva nella veste di imputata, per farsi promotrice di una class action contro i discografici nel caso Andersen vs. Atlantic.

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Il documento di 109 pagine depositato nei giorni scorsi presso la corte distrettuale dell'Oregon rievoca la storia della persecuzione della famiglia Andersen, mettendo in luce tutto quello che la donna - che attualmente mantiene la figlia con una pensione di invalidità - ha dovuto subire a causa delle contorte motivazioni delle major, sul piede di guerra contro gli utenti di file sharing ma nei fatti incapaci di dimostrare l'avvenuta condivisione dei brani incriminati da parte della signora. Non solo, il documento evidenzia come tutto ciò rappresenti una strategia consapevole di RIAA, volta a bloccare l'innovazione tecnologica e a mantenere il cartello economico nel settore musicale vita natural-durante.

"Per quasi tre anni della loro vita - si legge nel documento di accusa depositato - Tanya Andersen e la sua giovane figlia sono state oggetto di una oltraggiosa serie di accuse senza fondamento e minacce spietate di rovina finanziaria. Le quattro maggiori etichette discografiche del mondo hanno ideato una impresa illegale tesa al mantenimento del loro monopolio virtualmente totale sulla distribuzione di musica commerciale. L'impresa è stata condotta con il totale disprezzo nei confronti di individui innocenti. Sono state citate in giudizio persone decedute. Sono stati citati bambini. Sono state citate persone senza un computer".

La signora Andersen è impietosa nel descrivere il modus operandi di RIAA e delle major, incapaci di adattarsi alle novità tecnologiche ma piuttosto efficaci nell'abusare degli strumenti legali per rallentare quanto più è stato possibile il proprio naturale disfacimento. "Nel 2003 e anche prima - si legge ancora nel documento - le Big Four del disco hanno cospirato con il braccio armato e di lobby del cartello musicale, vale a dire RIAA e MediaSentry, per escogitare uno schema investigativo che era sia illegale che pesantemente fallato. Lo schema era basato su investigazioni private segrete condotte da investigatori privati senza licenza, non registrati e non certificati".

E ancora: "Questi investigatori privati sostengono di essere penetrati illegalmente nei dischi fissi di decine di migliaia di privati cittadini americani alla ricerca delle registrazioni musicali ivi presenti. Questa invasione personale è un crimine in ogni stato del paese. Qualora la musica fosse stata'scopertà attraverso questo procedimento illegale, allora gli investigatori privati avrebbero venduto l'identità dell'indirizzo IP a RIAA e alle Big Four".

È una vera e propria demistificazione della crociata anti-P2P di RIAA quella che Andersen si appresta a mandare avanti in tribunale, potendo tra l'altro contare sulla familiarità del giudice Anna Brown con le tipiche manovre evasive impiegate dai discografici per ritardare all'infinito i processi, evitare di affrontare il dibattimento e più in generale fare i propri porci comodi con le procedure del sistema legale statunitense.

Come esemplifica anche la recente decisione del giudice Janet Bond Arterton, che ha preteso di vedersi dimostrare chiaramente lo scambio di brani non autorizzati sul P2P prima di condannare gli accusati nell'ambito del caso Atlantic vs. Brennan, la faccia tosta e la benzina legale di RIAA appaiono davvero alle battute finali, e la class action della battagliera signora Andersen riaccende le speranze di chi - sottoscritto incluso - vorrebbe veder spazzate via una volta per tutte le schifezze fin qui fatte dai discografici per non affrontare a viso aperto la propria incapacità di stare al passo coi tempi e col mondo che cambia.

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