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EMI: troppi soldi per RIAA e sodali

11/12/2007
- A cura di
Archivio - L'etichetta discografica sarebbe intenzionata a decurtare i lauti fondi messi annualmente a disposizione delle organizzazioni di categoria. Le denunce contro gli utenti del P2P non pagano, e servono a ben poco oltre che a inimicarsi chi ancora è disposto a infondere denaro nel morente mercato del disco.

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Il pezzo che stai leggendo è stato pubblicato oltre un anno fa. AvvisoLa trattazione seguente è piuttosto datata. Sebbene questo non implichi automaticamente che quanto descritto abbia perso di validità, non è da escludere che la situazione si sia evoluta nel frattempo. Raccomandiamo quantomeno di proseguire la lettura contestualizzando il tutto nel periodo in cui è stato proposto.

EMI Group, una delle quattro Grandi Sorelle della musica internazionale, non sembra particolarmente soddisfatta del ritorno degli investimenti in RIAA, IFPI e le altre società che rappresentano - o dovrebbero farlo - gli interessi delle major negli States e nel mondo. Per tale motivo, in un momento di ristrettezze economiche come quello attuale con la crisi perenne delle vendite che incombe sul futuro dell'etichetta, occorre razionalizzare le spese inutili cominciando proprio dalla rappresentanza suddetta.

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Parimenti a Universal, Warner e Sony BMG, EMI versa ogni anno nelle casse delle associazioni la ragguardevole cifra di circa 132 milioni di dollari, e molti di questi fondi vengono impiegati per l'azione di contrasto legale alla pirateria fuori e dentro Rete, avendo finora prodotto - per quanto riguarda RIAA in particolare - decine di migliaia di cause legali e casi mediatici di grande richiamo come quello di Jammie Thomas.

Ma i risultati di tale strategia persecutoria si misurano anche nel diffuso scontento da parte dei consumatori di musica, sempre meno propensi ad acquistare i loro contenuti preferiti per i canali tradizionali e niente affatto intimoriti, nella stragrande maggioranza, dalla voce grossa con cui i rappresentanti dell'industria promettono ciclicamente sfracelli tra chi scarica abusivamente Rete.

In poche parole, finora gli sforzi e i soldi spesi da RIAA e compagni di merende non sono serviti assolutamente a nulla, tranne che a peggiorare una situazione già preoccupante per l'industria del disco. EMI, recentemente acquistata dal finanziere Guy Hands per mezzo della società di investimenti Terra Firma, sembra essersi finalmente accorta, prima tra le Quattro Sorelle, della necessità di un drastico cambiamento di rotta per garantirsi la sopravvivenza tra i marosi delle illimitate possibilità di copia, condivisione e download aperte dall'era digitale.

Dopo l'abbandono delle inutili DRM, potrebbe essere venuto il momento per RIAA e le altre società a delinquere specializzate nel fare la cresta a quel che rimane della voglia degli utenti di foraggiare l'industria musicale nel suo assetto attuale, di pagare per i danni da esse stesse provocati alle loro generose clienti. Se decurtazione ci sarà, viste le cifre in ballo, EMI potrebbe dare inizio all'unica vera possibilità di mettere la parola fine alla follia legale di questi anni contro gli utenti del P2P: tagliare sostanziosamente i viveri a RIAA e IFPI.

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