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Il padrone di EMI Group avverte: la musica digitale è il futuro

22/10/2007
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Archivio - Importante dichiarazione d'intenti da parte del nuovo proprietario della major, che spinge per la piena adozione della rivoluzione digitale nel mercato musicale prima che sia troppo tardi. Sempre che EMI sia ancora in tempo...

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Che le major abbiano sbagliato tutto da Napster in poi è oramai un dato di fatto: piuttosto che abbracciare la distribuzione digitale dei contenuti le Grandi Sorelle del disco (EMI, Universal, Warner e Sony BMG) non hanno fatto altro che contrastarla, focalizzandosi su fenomeni come il file sharing da tempo indicato come il principale responsabile di un declino nelle vendite che risiede principalmente altrove.

Non bastassero le difficoltà a vendere i CD ci si mettono ora anche i Radiohead, gruppo fondamentale della storia musicale moderna cresciuto e reso celebre proprio grazie al supporto dell'etichetta inglese, a decidere di voler fare tutto da soli liberi dai vincoli di contratto e potendo contare sulla forza della rete come viatico ideale per una avventurosa distribuzione in solitaria (rif. Radiohead, pionieri della distribuzione musicale senza major).

Ed è una sostanziale ammissione di immobilismo e susseguirsi di strategie sbagliate anche il messaggio ad uso interno scritto da Guy Hands, il finanziere che con la sua società di investimenti Terra Firma ha recentemente acquistato la totalità delle azioni di EMI Group divenendone di fatto il padrone incontrastato. Dopo il colpaccio Hands ha deciso di dare una bella lavata di testa a tutti, ammonendoli sul fatto che con l'abbandono dei Radiohead si è arrivati a un punto in cui o si cambia o si muore.

Quella di Thom Yorke e soci dev'essere interpretata come "un risuonare di sveglia che noi tutti dovremmo accogliere e corrispondere con creatività ed energia", si legge nella e-mail inviata da Hands allo staff della major fresca di acquisto. "L'industria del disco è stata sin troppo a lungo dipendente dal numero di CD che è possibile vendere" scrive il magnate, sottolineando come "piuttosto che imbracciare la digitalizzazione e le opportunità ad essa connesse per la promozione di un prodotto e la distribuzione attraverso diversi canali, l'industria ha infilato la propria testa nella sabbia".

Il nuovo padrone di EMI pare dunque avere molto chiara la motivazione principale alla base dell'attuale declino del mercato musicale commerciale, e cioè l'incapacità di adattarsi al nuovo e venire a patti con la rivoluzione della distribuzione digitale senza tentare di frapporre inutili vincoli di mezzo, che è cosa ben diversa dai mediocri tentativi finora condotti di imbavagliare e provare a controllare il medium meno controllabile per eccellenza - cioè Rete assieme alla proliferazione dei contenuti una volta che essi siano diventati meri byte - per mezzo delle fallimentari tecnologie DRM.

Guy_Hands_on_EMI!.jpg

Hands è apparso poi sorpreso, secondo quanto riporta il Telegraph, della dimensione dei salari percepiti dai dirigenti "di seconda categoria". Ulteriore ragione per evocare la necessità di un profondo cambiamento culturale all'interno della major, senza il quale il defilarsi dei Radiohead potrebbe essere soltanto l'inizio - visto il clamoroso successo dell'iniziativa riportato da fonti vicine alla band - di un fuggi fuggi generale da parte degli artisti più "pesanti" del portfolio di personalità attualmente nelle mani di EMI.

L'avidità in questo caso fa rima e a va a braccetto con stupidità, quella suddetta di illudersi di poter controllare qualcosa di difficilmente controllabile, adesso come ai tempi di Napster. Condizioni che artisti affermati del calibro di Robbie Williams, Joss Stone e David Bowie potrebbero benissimo decidere di non accettare più, dopo che i colleghi Radiohead hanno dato il là ad un sistema distributivo completamente slegato dalle vecchie logiche di mercato.

EMI avrà anche speso le proprie capacità economiche e propagandistiche per rendere grandi i Radiohead, ma una volta conclusosi l'accordo con l'etichetta non esisteva nessun vincolo che potesse obbligarli a restare: "Perché dovrebbero voler finanziare i nuovi artisti dell'etichetta - scrive ancora Hands nel memo interno - o mantenere le spese e le promozioni eccessive della società?".

L'uscita in fondo al tunnel

Ma il finanziere non si limita a suonarle - giustamente - ai manager: una delle possibili soluzioni per uscire dall'attuale empasse del mercato musicale su supporto, suggerisce Hands, potrebbe essere il totale cambio di rotta dei contratti attualmente proposti alle star. Se oggi non è inconsueto siglare un accordo con un artista come Robbie Williams che, per 80 milioni di dollari sonanti, prevede la cessione della stragrande maggioranza dei guadagni sui CD all'etichetta, EMI potrebbe in futuro limitarsi a finanziare la creazione di un album o l'inizio di un tour, condividendo in cambio una parte dei profitti o delle eventuali perdite sui suddetti CD.

Sempre che non sia già troppo tardi: EMI Group ha da tempo dimostrato di essere tra le major quella che più è cosciente di essere sul punto di estinguersi come il dinosauro che è diventato, dando prova di un minimo di buon senso nel voler abbandonare almeno le inutili restrizioni DRM nella distribuzione dei propri brani digitali (rif. EMI: musica senza DRM anche su Amazon.com). Una misura ancora insufficiente, anzi sostanzialmente inutile in un'ottica di P2P imperante e fuori controllo, ma che almeno dimostra l'esistenza di germi di consapevolezza in una certa parte della morente industria dell'intrattenimento.

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