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![]() La condanna dei tre dirigenti di Google ha suscitato un grande interesse nel pubblico, sia dentro, sia fuori dalla Rete. Oltre al singolo episodio, l'attenzione è focalizzata sulla possibilità che la decisione del giudice possa costituire un significativo precedente per futuri casi analoghi che coinvolgano siti a "partecipazione collettiva", ovvero quelle realtà che si sviluppano grazie alla collaborazione diretta degli utenti. Se così fosse, si teme, il gestore della piattaforma potrebbe essere chiamato a rispondere anche per l'operato dei propri utenti. Come noto, quello dello User-generated content (Contenuti generati dagli utenti) è un modello adottato non solo da Google Video, ma anche da servizi come YouTube, Facebook, MySpace, Blogspot, WordPress oppure anche dallo stesso MegaLab.it e dai tanti siti che offrano spazio ai visitatori tramite forum o la possibilità di lasciare commenti. D'altro canto, non è da escludere che l'unica mancanza di Google Video sia stata quella di non trasferire in capo agli utenti la responsabilità inerente il rispetto delle normative sulla privacy: un problema formale che, in caso, potrebbe essere rettificato semplicemente modificando il legalese della licenza d'uso del videoportale. La situazione non potrà essere comunque chiarita del tutto prima dei 90 giorni necessari a depositare gli atti. In una dichiarazione rilasciata a Punto Informatico, l'avvocato difensore Giuliano Pisapia ha spiegato che "non è affatto possibile escludere che a Google si contesti la non applicabilità della direttiva sull'e-commerce (o l'applicabilità in forme diverse)". In tale circostanza, la responsabilità per quanto inserito dagli utenti ricadrebbe in toto sul gestore del servizio. L'opinioneIl timore degli operatori è, come detto, la delibera di questi giorni porti ad un aut aut per le piattaforme di User-generated content: decidere di approvare preventivamente ogni contributo immesso prima di renderlo visibile oppure continuare con le modalità attuali, correndo però il rischio concreto di essere trascinati in giudizio. La prima soluzione, per quanto possa essere difficile da comprendere per chi non lavora nel settore, è pressoché impossibile da implementare: si pensi solo alla circostanza nella quale Facebook dovesse attrezzarsi per supervisionare e approvare l'attività dei 400 milioni di utenti, con l'aggravante di dover smaltire ogni nuovo contenuto pressoché in tempo reale. Ancora un esempio: YouTube ha affermato che ogni minuto vengono caricati filmati per una durata complessiva di 20 ore. È evidente che nessun team, per quanto ampio, potrebbe mai riuscire a gestire una mole di lavoro del genere. Si potrebbe pensare di ricorrere alla soluzione automatizzata: qualsiasi professionista che operi nel mondo dell'informatica potrà comunque concordare che, se la cosa potrebbe essere quantomeno teorizzabile in presenza di contenuti testuali, realizzare un software che possa valutare il contenuto di un filmato e decidere autonomamente di consentirlo o meno è una sfida ben al di là di quanto offerto dalla tecnologia odierna. L'unica strada percorribile rimarrebbe quindi quella di rischiare, esponendosi per gli utenti: in quanti si sentirebbero di farlo? e quanti di loro sarebbero soggetti differenti da minorenni scavezzacollo o corporation dal fatturato multi-milionario pronte a spendere fior di denari in avvocati? Segnala ad un amico |
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