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Il pezzo che stai leggendo è stato pubblicato oltre un anno fa.
![]() Un articolo pubblicato da The Wall Street Journal sul finire della settimana appena trascorsa ha generato una nuova ondata di indignazione in rete. Il quotidiano ha infatti "pizzicato" alcuni fra i più importanti social network a condividere con le agenzie pubblicitarie terze il nome dell'utente correntemente loggato o il suo identificativo. La chiara violazione della privacy si verificava quando il visitatore cliccava sui banner pubblicitari mediante i quali questi servizi si sostentano. La pratica consentiva alle agenzie di tracciare ed identificare con la massima precisione i singoli naviganti, in uno scenario di Orwelliana memoria che, certamente, andrà a rafforzare l'interesse verso modelli sociali alternativi. Non fosse per la strategia commerciale, ben poco etica in sé, il comportamento appare particolarmente scorretto nei confronti degli utenti registrati anche perché i vari accordi a tutela della privacy proposti da questi servizi assicurano che nessun dato personale verrà comunicato a terzi senza lo specifico consenso dell'utente. Il pezzo originale svela i nomi dei soggetti coinvolti: vi sono Facebook e MySpace, ma anche LiveJournal, Hi5, Digg e Xanga. Nemmeno Twitter è completamente estraneo ai fatti: il cinguettatore traccia infatti i click effettuati fra le varie pagine del sito stesso, sebbene tali informazioni non sia poi condivise con terzi. Il comportamento più grave sarebbe stato quello di Facebook: mentre infatti gli altri siti inviavano principalmente informazioni inerenti la pagina visualizzata, il più popolare social network trasmetteva anche il nome utente e l'ID dell'utente corrente. Per quanto riguarda "i compratori" invece, l'articolo rivela il coinvolgimento, fra le altre, di DoubleClick, proprietà di Google, e Right Media di Yahoo!. Le agenzie hanno comunque smentito di essere a conoscenza del dettaglio e che, di conseguenza, nessuna delle informazioni personali trasmesse sia mai stata utilizzata o archiviata. Entrare in possesso di tali dettagli è certamente molto redditizio per le aziende specializzate in pubblicità contestuale, poiché, conoscendo l'identitià dei vari utenti, diviene possibile mostrare loro inserzioni più rilevanti in funzione degli interessi. Leggasi: donne e motori per gli uomini, abbigliamento per le donne, elettronica di consumo ai ragazzi e via dicendo. MySpace, Hi5, Digg, Xanga e LiveJournal si sono difesi spiegando che, poiché gli username utilizzati dagli iscritti sono generalmente stringhe di fantasia, taleinformazione non può essere considerata "personale" o rilevante in alcun modo. Facebook e MySpace, al contrario, hanno dichiarato di aver prontamente interrotto tale attività dopo lo scoop di The Wall Street Journal. È comunque difficile capire quanti naviganti siano già stati identificati nel frattempo, e, soprattutto, per quanto sarebbe perdurato tale"contrabbando" di dati personali se il quotidiano economico non fosse riuscito a portare sotto i riflettori la faccenda: la pratica era infatti stata scoperta per la prima volta da un gruppo di ricercatori addirittura ad agosto dell'anno scorso. Segnala ad un amico |
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