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Dischi ottici: come funzionano

07/03/2008
- A cura di
Hardware & Periferiche - Scopriamo le basi dell'archiviazione digitale su CD, DVD e nuovi dischi ad alta definizione.

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Il pezzo che stai leggendo è stato pubblicato oltre un anno fa. AvvisoLa trattazione seguente è piuttosto datata. Sebbene questo non implichi automaticamente che quanto descritto abbia perso di validità, non è da escludere che la situazione si sia evoluta nel frattempo. Raccomandiamo quantomeno di proseguire la lettura contestualizzando il tutto nel periodo in cui è stato proposto.

Di primo acchito sembra banale: sul disco vengono registrati dati che in un secondo momento saranno letti da un laser. Lo scopo di questo articolo è quello studiare la questione più nel dettaglio, descrivendo "a volo d'uccello" i fondamenti teorici alla base del sistema di memorizzazione a dischi ottici.

In verità, i principi della fisica sfruttati da questo strumento, che tutti possediamo nel PC o in quasi ogni impianto Hi-Fi odierno, non sono poi così complicati: si sfrutta una particolare proprietà della luce, come delle onde in generale, denominata interferenza.

A questo punto, purtroppo, devo fare una piccola lezione (orrore!) di ottica, se non altro per far capire di che cosa si sta parlando a chi è a totale digiuno in materia (e per annoiare chi non lo è). Due onde luminose in particolari condizioni possono sovrapporsi per darne una risultante, che altro non è che la somma delle due originali. Fino a questo punto nulla di strano. Il problema sta nel modo in cui si incontrano: una spiegazione facilmente intuibile consiste in una rappresentazione grafica del fenomeno.

Grafico1.gif

Le due onde si sovrappongono, originandone una di ampiezza maggiore. Se però la sovrapposizione avviene nel modo seguente

Grafico2.gif

Si ha un'interferenza, che viene chiamata distruttiva, perché l'onda risultante è di ampiezza minore di quella di partenza. Ora, se si immagina che le due onde in interferenza distruttiva siano di uguale ampiezza, esse si annullano a vicenda.

È proprio su ciò che si basa la lettura dati in un CD: se si osservasse la sua faccia inferiore al microscopio, si vedrebbero innumerevoli (più o meno due miliardi!) microsolchi larghi circa 0,6 micron e lunghi dai 0,8 ai 3,1 micron (1000 micron = 1 millimetro) raggruppati in una traccia a spirale, come quella dei vecchi dischi al vinile, ma lunga sui 5 km. I dati come è noto sono in forma digitale, quindi una successione di " 0" e " 1".

In breve, se il laser di lettura incontra una buca oppure una cresta, esso viene riflesso su un rivelatore che interpreta il segnale come uno 0; se invece lo spot luminoso cade su un punto di transizione, entra in gioco l'interferenza distruttiva sopra spiegata tra la parte di laser riflessa da una buca e quella riflessa da una cresta.

La profondità dei solchi è tale che in riflessione la somma delle componenti sia nulla; quando il rivelatore non riceve segnale in risposta segnala un 1. Perché tuttavia il processo funzioni, il lettore deve "vedere" passare la traccia a velocità costante (circa 1,3 metri al secondo). Questo è compito del motore incaricato alla rotazione del disco.

In teoria questo strumento funzionerebbe altrettanto bene con la luce emessa da una normale lampadina: perché montare un laser?

Semplicemente perché, tra le varie straordinarie proprietà che questo tipo di radiazione luminosa possiede, c'è la possibilità di collimarla, cioè di illuminare un punto più piccolo possibile, con grande facilità e con ottimi risultati. Ciò risulta essere molto importante perché più piccolo è lo "spot", il punto illuminato, più piccoli possono essere i solchi e meno distanziati tra loro; va da sé che questo comporta una quantità maggiore di dati immagazzinabili in un solo disco.

Purtroppo, ci sono delle limitazioni dovute anche al tipo di laser impiegato: per i CD viene utilizzato un laser a diodo di 780 nm di lunghezza d'onda (infrarosso). Per limiti dovuti a proprietà intrinseche della luce (per approfondire l'argomento basta scrovere "diffrazione" o "potere risolutivo" su un motore di ricerca), non si può andare al di sotto di un certo limite, fino a qualche tempo fa 650 MB per singolo strato.

Un modo per superare questo ostacolo è già stato trovato: si usa in lettura un laser a lunghezza d'onda minore. Dal 1995 sono entrati in commercio i DVD, Digital Versatile Disc (originariamente la sigla significava Digital Video Disc, dato che era stato progettato per contenere un intero film), che ha come lettore un laser rosso a 650 nm di lunghezza d'onda.

Il meccanismo è assolutamente identico a quello sopra trattato, avendo tuttavia la possibilità di ridurre i solchi e immagazzinare fino a 4,7 GB di dati per singolo strato. Converrete con me che è stato un bel passo in avanti.

Oggi, a fronte di esigenze di archiviazione sempre maggiori, l'evoluzione tecnologica si ripete: i nuovi formati HD DVD e Blu-ray, come suggerisce il nome stesso, sfruttano un laser a luce blu (405 nm) per ridurre ulteriormente la distanza fra le spire: il risultato è un disco ultra-denso, che offre uno spazio di memorizzazione pari a 25 GB per Blu-ray e 17 GB per HD DVD.

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