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Le DRM sono morte nei fatti, considerando che non manca giorno in cui qualche grosso player di settore si converta alla vendita on-line senza restrizioni, e considerando soprattutto l'abbandono della tecnologia da parte delle Big Four del disco, che per mezzo dello store di Amazon commercializzano musica in formato MP3 (rif. Anche Sony-BMG vende MP3. Al via il funerale delle DRM). "Ho fatto una lista di 22 modi diversi di vendere musica, e 20 di questi ancora richiedono le DRM", dice convinto Hughes, secondo la cui opinione "Qualsiasi forma di servizio di sottoscrizione o play-per-view limitato oppure offerta basata sull'advertising ancora richiede le DRM. Quindi le DRM non sono morte". Le tecnologie anticopia e anti-utente, secondo Hughes, continuano a essere l'elemento qualificante dei modelli di business di Apple, RealNetworks e tanti altri, ragion per cui non si può sentenziare sul loro abbandono da parte del mercato. Anzi, il manager sostiene che presto o tardi ci sarà il revival dei sistemi di restrizione: "Penso che ci sarà un movimento verso i servizi di sottoscrizione - continua Hughes - e la cosa significherà probabilmente il ritorno delle DRM". Tra i partecipanti al panel di discussione, Fritz Attaway di MPAA - che con RIAA forma la ben nota MAFIAA - è sulla stessa lunghezza d'onda del dirigente RIAA: "Abbiamo bisogno delle DRM - sostiene Attaway - per mostrare ai nostri consumatori i limiti della licenza che hanno contratto con noi". Secondo l'opinione dei signorotti del nuovo vapore digitale, insomma, il modello di distribuzione del futuro è quello basato su sottoscrizioni limitate nel tempo e nelle possibilità di fruizione dei contenuti da parte degli utenti. Una previsione, quella del successo di siffatto settore, già fatta e già bocciata all'atto pratico anni fa, sottolinea Ed Felten, proprio a causa di fattori come le protezioni anticopia invalidanti. Nulla è cambiato perché i consumatori possano essere disposti a innamorarsi di quello che è un vecchio modello e non certo il futuro, continua il professore di Princeton, senza considerare la possibilità di implementare sistemi di sottoscrizione con quantità di download limitati - come già fa lo store di musica indie eMusic - o di affidarsi a soluzioni alternative. RIAA potrà ben pensare quel che vuole, in fondo di idee bizzarre ne ha avute tante in passato. Ma dovrebbe anche ricordare che le major sembrano invero insoddisfatte del comportamento delle organizzazioni di rappresentanza come IFPI e la stessa RIAA, e minacciano di chiudere il rubinetto dei finanziamenti qualora le attitudini delle suddette non cambiassero nell'immediato futuro. E considerando che i pensieri di Hughes rappresentano la perfetta continuazione delle idee tradizionali dell'associazione, è ipotizzabile che una delle entità più odiate nel business multimediale si stia scavando la fossa con le proprie mani. Segnala ad un amico |
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