nell'immaginazione popolare i gatti, e ancor più le gatte, in quanto femmine, sono animali infidi: finché il padrone è in casa, si mostrano indolenti e dormicchiano; poi, appena è uscito, balzano per afferrare il cibo incautamente lasciato sul tavolo, o comunque non adeguatamente protetto. Così, per catturare con più facilità i topi, si fingono talvolta addormentati o morti, e quando questi si avvicinano, scattano d'improvviso. Di qui la nostra gattamorta, per indicare una persona che si finge moribonda o distratta e indifferente, o anche un individuo falso, subdolo, ambiguo. L'uso è già quattrocentesco; uno dei personaggi delle Rime del Bellincione, invitando alla circospezione, dice infatti: "Egli è tempo aprir gli occhi e parer cieco,...e far la gatta morta e ir pian piano". La stessa origine ha anche l'altro modo di dire gatta ci cova, usato per la prima volta da Agnolo Firenzuola nella quinta novella della seconda giornata dei Ragionamenti: "Per certo che egli mi convien vedere donde nasca questo tanto fervore e questa tanta devozione; qualche gatta ci cova".