Io, in chat, ho fatto tante cose: mi sono incazzata, mi sono affezionata, mi sono commossa e a volte eccitata, ed ho espresso tutto ciò con lettere elettroniche, inviate in tempo reale ad una persona sconosciuta.
Eppure ero silenziosa, tremendamente silenziosa, urlavo con le maiuscole, sorridevo con gli smile, facevo capire di essere eccitata con i puntini di sospensione...
Le chat danno un senso strano di libertà, rappresentano una seconda dimensione, sono quei luoghi dove si può essere ciò che non si è e dove si può pensare agli altri come in realtà non sono.
Non solo: quando chattavo, mi sentivo in diritto (un diritto crudele) di interrompere la conversazione con l’altro senza nemmeno salutarlo, senza promettergli che l’indomani ci saremmo ritrovati in tale stanza virtuale in tale ora.
Tanto, mi dicevo, che ne sa? Non mi conosce mica...
E’ stato carino chiacchierare, ma tanto lui non esiste...
Lui è una mia fantasia, lui è una valvola di sfogo.
Non mi passava per l’anticamera del cervello che dietro quelle lettere elettroniche si nascondesse un’anima e si nascondessero due occhi che volevano parlarmi, di volta in volta, di stati d’animo diversi, di solitudini, di rabbie, di amori, di follie.
Io ero lì pronta a sfoderare tutto il mio egoismo e tutte le mie angosce e paure. Se adesso non chatto più è proprio perché ho capito che dietro il monitor c’è un’anima che vuole parlarmi. Ed io ho paura.
Non paura di ascoltarla, ma paura di ascoltarla attraverso un foglio virtuale. Ed io le anime voglio guardarle negli occhi e voglio sentire il loro profumo , perché quella, l’anima, non può mai tradire o illudere. Le parole tradiscono e i silenzi sono sinceri.
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