Però se devono rimetterci un ora di stipendio la stessa cosa deve valere per chi va 10 volte a prendersi un caffè, chi abbandona il posto di lavoro per andare a fare la spesa, chi chatta su Skype o su Msn.
SIGARETTE IN UFFICIO I DIRETTORI DEL PERSONALE: «LA PRODUZIONE E’ CALATA DOPO LA LEGGE SIRCHIA, AVVIEREMO UNA TRATTATIVA CON I SINDACATI»
«Chi fuma guadagnerà meno»
Le aziende: si perde tempo, potremmo ridurre gli stipendi di un’ora al giorno
TORINO. Avviso ai lavoratori fumatori: occhio a quella pausa sigaretta rubata tra una pratica e l’altra. Perché oltre allo stress da infila il cappotto- corri in cortile- fuma più in fretta che puoi, le bionde, d’ora in poi, potrebbero costarvi un’ora di stipendio in meno al giorno. Giusto un’ora, è infatti il tempo medio calcolato per fumare da una ricerca della Gidp, l’associazione nazionale dei direttori del personale. Per l’esattezza: sei minuti per finire una sigaretta, altri quattro per raggiungere il cortile o la saletta fumatori. E considerato che in ufficio o in fabbrica anche il fumatore più incallito non si concede più di sei-otto sigarette, il totale è presto fatto. Da un’ora a un’ora e venti al giorno sottratti all’attività professionale.
Interruzioni troppo lunghe «Un’enormità di tempo sprecato - sentenzia il presidente della Gidp, Paolo Citterio - che non può incidere sulla redditività dell’azienda. Anch’io sono un fumatore e quindi so che non è facile smettere o anche solo ridurre il numero di sigarette, ma non è accettabile che si perda un’ora ogni giorno. L’attività intellettuale può anche essere recuperata in altri momenti, ma nelle imprese in cui si fabbricano oggetti concreti i ritmi devono essere tassativamente rispettati».
L’indagine Gidp (acronimo di Gruppo intersettoriale direttori del personale) è stata realizzata su un campione di 149 medie-grandi imprese (3.417 il numero complessivo) e dimostra come la metà dei quasi 4 milioni di dipendenti sia dedita al tabagismo. Con l’entrata in vigore della legge Sirchia, il 10 gennaio 2005, che vieta il fumo in tutti locali chiusi (posti di lavoro compreso), le abitudini dei nicotina-dipendenti hanno subìto un inevitabile cambiamento. Addio al relax e alla possibilità di concentrarsi meglio, scaricando la tensione con una sigaretta, l’unica consolazione possibile è oramai imprenscindibile da momentanee assenze dalla propria postazione di lavoro.
«I direttori del personale potrebbero intervenire con una sanzione disciplinare - prosegue Citterio -, ma questo non rientra nei nostri obiettivi. Come peraltro dimostra la nostra analisi, da cui emerge che solo il 23 per cento delle aziende si pone in modo repressivo, mentre il 74 per cento preferisce la linea della comprensione, mentre il 3% non fornisce indicazioni».
Diritti e doveri Ma la decurtazione di un’ora quoTidiana dal salario non è una repressione? «Eh no, non può essere intesa così. È il passo dovuto nel bene dell’intera azienda e comunque non sarà certo un’iniziativa decisa sulla testa di impiegati o operai: avvieremo una trattativa con le organizzazione sindacali per valutare l’attuazione del provvedimento nel pieno rispetto dei diritti dei lavoratori fumatori, che non possono tuttavia prevaricare quelli dei non tabagisti». Tra questi ultimi, del resto, non tutti manifestano tolleranza. I dati Gidp rivelano che il 37 per cento di chi non fuma in fabbrica o in ufficio protesta per chi lo fa attraverso mail, denunce individuali e ricorso al sindacato.
La lotta al tabacco Tra le strategie adottate finora contro il tabagismo aziendale, spiccano i corsi di sensibilizzazione sui rischi del fumo, la collaborazione con la Lega italiana contro i tumori e colloqui con psicologi. Per evitare le corse in cortile, il 32,5 per cento delle imprese si è dotato di salette per fumatori, mentre prima della legge Sirchia vi aveva provveduto solo il 25 per cento. «Difficile che possano aumentare di molto - conclude il presidente Gidp Paolo Citterio - anche perché il costo è piuttosto elevato: dai quattro agli ottomila euro per attrezzarle di aspiratori e ventole indispensabili ad ottenere l’autorizzazione dalle Asl».
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