L'URAGANO KATRINA CHE CANCELLA LA CIVILTA' - di Timothy Garton Ash
(tratto da "la Repubblica" di Giovedì 8 Settembre 2005)
PRIMA di passare alla prossima notizia del giorno facciamo tesoro della grande lezione che ci ha dato Katrina. Non riguarda l'incompetenza dell'amministrazione Bush, la scandalosa negligenza nei riguardi dei neri poveri in America, o la nostra impreparazione a fronte di grandi disastri naturali, benché siano tutti argomenti pertinenti.
Il grande insegnamento di Katrina è che la crosta di civiltà su cui camminiamo è sempre sottile come un'ostia. Una scossa e cadi giù, lottando con le unghie e coi denti per salvarti.
Siete del parere che i saccheggi le violenze e il terrore armato emersi nell'arco di ore a New Orleans non si verificherebbero mai nella gentile Europa civile? Rivedete la vostra posizione. E' successo qui, in tutto il nostro continente solo sessant'anni fa. Leggete le memorie dei sopravvissuti dell'olocausto o del gulag, quello che Norman Lewis scriveva di Napoli nel 1944 o il diario anonimo recentemente ripubblicato di una donna tedesca nella Berlino del '45. E' successo ancora in Bosnia solo dieci anni fa. E non si trattava neppure della "force majeure" di un disastro naturale. Gli uragani europei erano opera dell'uomo.
Il punto fondamentale è lo stesso: se vengono meno gli elementi base del vivere civile e organizzato - cibo, alloggio, acqua potabile, un livello minimo di sicurezza personale - nello spazio di ore torniamo ad uno stato di natura hobbesiano, alla guerra di tutti contro tutti. Alcuni, per qualche tempo, si comportano con eroica solidarietà; la maggioranza, per la maggior parte del tempo, si dà alla lotta sfrenata per la sopravvivenza personale e genetica. Pochi diventano temporaneamente angeli, i più tornano a essere scimmie.
Il termine civiltà, in una delle sue più antiche accezioni, si riferiva al processo di civilizzazione dell'animale uomo.
INTESO, presumo, nel senso di giungere al comune riconoscimento della dignità umana, o quanto meno a considerare tale riconoscimento in linea di principio auspicabile (come fece il proprietario di schiavi Thomas Jefferson, pur non mettendo in pratica ciò che predicava) . Leggendo Jack London l'altro giorno, mi sono imbattuto in un termine inconsueto: decivilizzazione, ossia il processo inverso, per cui gli individui cessano di essere civili e diventano barbari. Katrina rivela che la decivilizzazione è sempre possibile.
Ne dà segno anche la vita normale, di ogni giorno. Un buon esempio è la rabbia al volante. Oppure pensate a quello che succede quando un volo notturno ha ritardo o è cancellato. All'inizio, quell'involucro di distacco accuratamente salvaguardato che ci portiamo appresso nelle sale d'attesa dell'aeroporto si infrange lasciando spazio a barlumi di solidarietà. Lo sguardo di simpatia reciproca da sopra il giornale o lo schermo
del computer portatile. Poche parole di frustrazione condivisa o una battuta ironica. Spesso da questo scaturisce una più forte manifestazione di solidarietà di gruppo, diretta magari contro lo sfortunato personale del check-in della British Airways, della Air France o della American Airlines. (Individuare un nemico comune è l'unica strada certa che conduce alla solidarietà umana).
Ma poi serpeggia voce di qualche posto vuoto su un altro volo al gate 37. Crollo immediato della solidarietà. Gli angeli diventano scimmie. Gli infermi, gli invalidi, gli anziani, le donne e i bambini rimangono indietro nella fuga precipitosa. Uomini in abito scuro, laureati ad Harvard o a Oxford, che a tavola hanno un comportamento impeccabile, si trasformano in gorilla lanciati alla carica nella giungla. Quando, debellata la concorrenza a suon di gomitate, ottengono la carta d'imbarco, si rifugiano in un angolo, evitando gli sguardi degli altri. I gorilla che hanno conquistato la banana. (Credetemi, parlo con cognizione di causa, ho fatto parte anch'io della categoria). Tutto questo per evitare una notte all'Holiday Inn di Des Moines.
Ovviamente la decivilizzazione a New Orleans è stata mille volte peggio. Non posso fare a meno di avere l'impressione che ci saranno altri episodi simili, molti di più, man mano che ci inoltreremo nel ventunesimo secolo. Sono troppi i grandi problemi che si profilano e che potrebbero spingere l'umanità a ritroso. Il rischio più palese è l'avvento di altri disastri naturali in conseguenza del cambiamento climatico. Se questo cataclisma verrà interpretato da politici americani come John McCain alla stregua di "un grido d'allarme" (per usare l'espressione trita cui indubbiamente ricorrerebbero), un avvertimento agli americani sulle conseguenze che comporta continuare a spandere biossido di carbonio,
incuranti del futuro, allora non tutto il male vien per nuocere. Ma potrebbe già essere troppo tardi. Se sono corrette le recenti indicazioni che non solo le calotte polari ma anche il permafrost siberiano si stanno sciogliendo, e che il disgelo produrrà a sua volta ulteriori emissioni di gas serra naturale, potremmo trovarci preda di un'inarrestabile spirale discendente. Se così fosse, se grandi aree del globo fossero flagellate da imprevedibili tempeste, alluvioni e mutamenti di temperature, quello che è successo a New Orleans sembrerebbe una bazzecola.
In un certo senso anche quelli sarebbero uragani ad opera dell'uomo. Ma esistono anche minacce più dirette, da parte di esseri umani contro altri esseri umani. Finora gli attacchi terroristici hanno prodotto indignazione, paura, qualche limitazione delle libertà civili (IL DATA RETENTION!!! N.B.KING) e gli abusi Guantanamo e Abu Ghraib, ma non
sono sfociati nell'isteria di massa o nella ricerca di un capro espiatorio. Da ultimo a Londra, capitale mondiale della flemma. Ma supponiamo che sia solo l'inizio. Supponiamo che i terroristi facciano esplodere una bomba sporca o persino un piccolo ordigno nucleare in una grande città. Che accadrebbe?
La pressione delle migrazioni di massa dal sud povero e sovrappopolato del pianeta al ricco nord ha quasi la forza di un'alluvione (non a caso i populisti antimmigrazione usano costantemente questa metafora). Se in conseguenza di disastri naturali o politici altri milioni di persone si mettessero in marcia i nostri controlli sull'immigrazione un giorno potrebbero rivelarsi come le dighe di New Orleans. Ma anche 'immigrazione attuale crea contatti, soprattutto tra immigrati musulmani e gli attuali residenti in Europa, che si stanno rivelando esplosivi. Che livello di civiltà manterremmo? A giudicare da come alcuni
europei e alcuni musulmani parlano gli uni degli altri vedo allungarsi l'ombra di una nuova barbarie europea.
C'è poi la sfida cui accennavo due settimane fa su queste colonne, rappresentata dall'inserimento delle grandi potenze emergenti, soprattutto l'India e la Cina, all'interno del sistema internazionale. Soprattutto nel caso cinese, in cui i leader tardo comunisti fanno ricorso al diversivo del nazionalismo per restare al potere, esiste il rischio di una guerra. Non c'è strumento più rapido e sicuro di decivilizzazione della guerra.
Lasciate quindi perdere lo "scontro di civiltà" di Samuel Huntington. Come recita il vecchio detto russo, è stato tanto tempo fa e comunque non era vero. A risco qui è semplicemente LA civiltà, la sottile crosta che stendiamo sul magma ribollente della natura , quella umana inclusa. New Orleans ha aperto un piccolo varco attraverso cui abbiamo intravisto cosa c'è sotto. "The Big Easy", la città facile, come è chiamata, ci ha fatto
capire come è difficile mantenere quella crosta.
In termini di monito politico possiamo considerare Katrina un appello a fare sul serio nell'affrontare queste minacce, il che significa che i grandi blocchi e le grandi potenze del mondo, l'Europa, l'America, la Cina, l'India, la Russia, il Giappone, l'America Latina, l'ONU, devono puntare ad un nuovo livello di cooperazione internazionale. Ma sulla base di un'analisi lucida potremmo azzardare una conclusione più pessimistica: che intorno all'anno 2000 il mondo raggiunse un apice nella diffusione della civiltà cui le generazioni future forse guarderanno con nostalgia e invidia.