Come è possibile per l'occhio umano percepire qualità fondamentali dell'ambiente come la tridimensionalità e la profondità? Analizziamo rapidamente questi aspetti, dal momento che rappresentano la base per comprendere i meccanismi fondamentali della tecnologia 3D.
L'occhio ed il sistema nervoso permettono all'uomo di relazionarsi efficacemente con l'ambiente. Come sappiamo, le radiazioni elettromagnetiche che costituiscono lo "spettro del visibile" sono raccolte da recettori cellulari, i coni e i bastoncelli. Entrambe le popolazioni cellulari sono accolte nello spessore della retina, una membrana di natura nervosa che tappezza internamente l'occhio.
Eccitate dallo stimolo luminoso, sono in grado di produrre un impulso nervoso che, attraverso il nervo ottico e le sue successive diramazioni, raggiunge una porzione di corteccia cerebrale localizzata nel lobo occipitale (corteccia visiva primaria), dove viene analizzato dai neuroni, interpretato e confrontato con i dati in memoria, mentre lo stimolo visivo entra nella sfera della percezione cosciente consentendo quindi l'elaborazione di risposte volontarie o involontarie (riflesse).
Chiaramente, la sequenza di eventi descritta sommariamente si verifica in modo sovrapponibile in entrambi gli occhi, per cui da ciascun occhio emerge un nervo ottico. Attraverso una serie di stazioni intermedie, le fibre nervose giungono alla corteccia dove, con meccanismi non completamente noti, l'immagine proveniente dai due nervi ottici viene "tradotta" in modo da ottenere la rappresentazione del campo visivo dell'occhio sinistro e dell'occhio destro.
L'immagine inviata alla corteccia da ciascun occhio non è identica. La distanza tra i due occhi è compresa mediamente tra 6 e 7,5 cm. Questo significa che l'occhio sinistro vede circa 6 cm "più a sinistra" dell'occhio destro, e viceversa.
Il nostro cervello è in grado dunque di discriminare da quale occhio, e quindi da quale parte del campo visivo proviene un certo stimolo, ed allo stesso tempo di identificare qual è la zona della retina che lo ha raccolto. Infatti, possiamo immaginare che la retina possegga un sistema di riferimento, la cui origine è data dalla fovea, ossia dalla regione centrale della retina. Ad ogni punto della retina di un occhio, è associato dal cervello un punto della retina dell'altro occhio.
Affinché possa percepire la tridimensionalità dell'ambiente, il cervello sfrutta lo "scarto" tra le due immagini raccolte dagli occhi: si parla infatti di "percezione simultanea" per sottolineare che il cervello riceve contemporaneamente due immagini "diverse" (per questo motivo si parla anche di "diplopia fisiologica", che consiste nella normale non-sovrapponibilità dei campi visivi dei due occhi). Grazie ai suoi complessi circuiti neuronali, la corteccia cerebrale è in grado di effettuare una "fusione" delle due immagini ottenendo una rappresentazione visiva unitaria. Confrontando lo "scarto" tra le due immagini, il cervello è in grado di assegnare alle zone di differenza un certo valore di profondità, in virtù del fatto che esso è dato dalla stimolazione (da parte dell'oggetto su cui è fissato lo sguardo) di aree diverse delle due retine.
Queste articolate capacità cognitive della corteccia permettono il verificarsi di un fenomeno noto come "visione binoculare", dato appunto dal fatto che entrambi gli occhi partecipano a formare un'unica percezione visiva. Il campo visivo normale pertanto non permette una completa visione binoculare, che resta infatti esclusa nelle aree dove non c'è sovrapposizione tra le rappresentazioni retiniche.
Questi fenomeni sono pertanto alla base della percezione della profondità da parte dell'occhio di molti animali. Allo stesso tempo, questi fenomeni sono chiaramente possibili solo rivolgendo lo sguardo verso oggetti tridimensionali, motivo per cui una suggestiva e realistica percezione della profondità non è pienamente possibile osservando un'animazione bidimensionale; questo spiega anche perché la percezione della profondità è fortemente ridotta - ma non assente - oscurando un occhio.
Lo scopo dei creatori di animazioni "in tre dimensioni" è dunque quello di "illudere" il nostro sistema nervoso, al fine di creare una percezione di profondità. Come? Imitando ciò che accade a livello corticale: viene indotto un "corto circuito mentale" mostrando separatamente ai due occhi (con vari metodi) due immagini leggermente differenti che idealmente ricalcano ciascuna la rappresentazione che ogni retina formerebbe osservando un'immagine unica.
Diversamente da quanto molte persone pensano, quasi 180 anni fa, proprio mentre nasceva la fotografia, era già noto il principio alla base della percezione della profondità.
Fu infatti l'ingegnere e fisico Charles Wheatstone ad inventare nel 1832 un apparecchio, detto stereoscopio, in grado di rendere possibile l'illusione. Inizialmente la stereoscopia fu un semplice passatempo, ma ben presto l'interesse del mondo cinematografico si fece sentire: negli anni'50 (sebbene siano state fatte numerose esperienze di cinema "tridimensionale" nei decenni precedenti) fu prodotto un gran numero di pellicole stereoscopiche che sfruttavano il sistema anaglifo o quello della luce polarizzata, metodi successivamente ripresi in diversi film dei decenni successivi.
Esistono differenze tra i primi "stereogrammi" statici e le recentissime produzioni hollywoodiane?
In linea di principio no, essendo entrambi sviluppati sul medesimo meccanismo e in generale sulla stessa tecnologia di base. Tuttavia è indiscutibile che gli intenti nel rendere il cinema 3D fortemente "realistico" sono stati raggiunti appieno. Vediamo allora quali sono e come funzionano le tecnologie che rendono tutto ciò possibile.
Tutti i sistemi stereoscopici, dal più rudimentale al più avanzato hanno in comune gli stessi scopi e lo stesso principio generale di funzionamento: come abbiamo visto, essi sono progettati per ingannare il nostro cervello inducendolo a dedurre una tridimensionalità inesistente proponendo a ciascun occhio immagini simili ma non identiche, riprese sulla stessa linea ma ad una distanza di circa 6 cm l'una dall'altra.
Si tratta del sistema di più immediata realizzazione per ottenere l'effetto di profondità. In questo sistema, ampiamente utilizzato in passato essendo realizzabile a basso costo ma ormai limitato soprattutto ad alcune applicazioni fotografiche e scientifiche, le due immagini da sottoporre allo spettatore sono fuse in un'unica rappresentazione.
È necessario però trovare un sistema che permetta di discriminare le due immagini (destinate l'una all'occhio sinistro e l'altra all'occhio destro): la soluzione è fornita da un paio di filtri cromatici.
Nel momento in cui le due immagini sono catturate (da una macchina fotografica o da una macchina da presa) sono applicati due filtri colorati sugli obiettivi, oppure il medesimo risultato può essere ottenuto in sede di post produzione (ad oggi la scelta ampiamente preferibile).
La scelta dei colori è in teoria arbitraria, ma è chiaro che per ottenere una discriminazione netta e priva di ambiguità delle due immagini, i colori dei filtri dovrebbero essere quanto meno simili.
Per questo motivo sono comunemente utilizzati filtri rossi (per l'obiettivo sinistro) e filtri ciano (per l'obiettivo destro), e nelle regioni in cui i due colori si sovrappongono si otterrà una dominanza bianca. Sono comunque utilizzate altre coppie di filtri, ma con frequenza minore, come quelle blu/giallo e magenta/verde. Affinché il cervello possa interpretare l'immagine, i colori dei filtri vanno eliminati da appositi occhiali costruiti con pellicole degli stessi colori usati riprendendo le immagini, in modo che ogni occhio, coperto dalla pellicola colorata, filtri il colore corrispondente dall'immagine. In questo modo la corteccia è in grado di confrontare le due immagini raccolte dagli occhi, anche se stampate sovrapposte.
Le lenti degli occhialini si comportano come filtri ottici ad assorbimento.
In generale questo tipo di filtri, colorati e trasparenti, "trasmettono" (cioè lasciano passare) tutte le lunghezze d'onda che non assorbono. Poiché il colore è un fenomeno percettivo che si manifesta per captazione da parte dell'occhio di lunghezze d'onda riflesse dall'oggetto (le uniche a non essere assorbite), il filtro rosso appare tale perché assorbe lunghezze d'onda percepite come "rosse". In virtù della proprietà dei filtri ottici ad assorbimento, la lente rossa "trattiene" la componente dello stesso colore (che apparirà all'occhio schiarita e quasi bianca), mentre lascia passare tutte le altre lunghezze d'onda.
Trattandosi però di un filtro colorato, le lunghezze d'onda "trasmesse" saranno influenzate dal colore del filtro stesso: per questo motivo la componente ciano dell'immagine sarà percepita come tendente al nero, trattandosi di colori complementari che vengono sommati. La somma tra i colori "trasmessi" dal filtro ed il colore del filtro stesso è anche responsabile del leggero viraggio verso il verde delle immagini anaglifiche a colori.
Un discorso esattamente opposto vale invece per il filtro ciano, che quindi blocca la componente ciano dell'immagine, e lascia passare tutte le altre componenti fornendo nelle zone rosse la percezione di un colore scuro.
La tecnica anaglifica è chiaramente vantaggiosa per via del bassissimo costo e della facile riproducibilità, ma a suo sfavore gioca sicuramente la resa cromatica dell'immagine.
Il meccanismo di funzionamento alla base delle proiezioni 3D che sfruttano la polarizzazione della luce è più semplice di quello sfruttato dall'anaglifo. Sono essenzialmente due le tecnologie che sfruttano la polarizzazione della luce per rendere discriminabili i frame dedicati all'occhio sinistro e a quello destro: a seconda dei filtri utilizzati, abbiamo una polarizzazione lineare ed una circolare.
Si tratta di una tecnologia ormai quasi abbandonata in favore della polarizzazione circolare, dal momento che comporta diversi svantaggi, tra cui in primo luogo lo scarso comfort per lo spettatore e la necessità di usare due proiettori distinti, ognuno dei quali fornisce allo spettatore le immagini destinate all'occhio sinistro o all'occhio destro.
Per rendere discriminabili i fotogrammi è necessario far passare ogni fascio proiettato attraverso un filtro polarizzatore: ad esempio le immagini provenienti dal proiettore sinistro saranno "filtrate" attraverso un polarizzatore orizzontale, mentre quelle proiettate dall'altra macchina passeranno attraverso un polarizzatore verticale. In questo modo si ottengono due fasci di luce polarizzata in modo perpendicolare tra loro che convergono verso lo schermo.
In cosa consiste la polarizzazione che subisce il fascio di luce proiettato? La luce emessa dal proiettore è formata da un insieme di raggi luminosi tutti diretti verso lo stesso punto, ma dati da onde elettromagnetiche che "oscillano" su tanti piani ciascuno ruotato rispetto agli altri di un certo angolo.
La polarizzazione consente di "scegliere", tra tutte queste onde luminose, solo quelle che "oscillano" sullo stesso piano, e comunque su piani paralleli tra loro. In definitiva quindi possiamo immaginare il polarizzatore lineare posto davanti al proiettore come una tenda veneziana, che consente solo alla luce che si propaga su un certo piano di filtrare nella stanza.
L'immagine osservata dallo spettatore è quella riflessa dallo schermo al fondo della sala: per impedire che al momento della riflessione si perda la polarizzazione dei due canali, è necessario utilizzare una particolare superficie, fornita dal "silver screen".
Il silver screen ha un duplice scopo: mantenere la polarizzazione dei canali ed incrementare la quantità di luce riflessa verso gli spettatori, poiché l'impiego dei filtri riduce leggermente la luminosità dell'immagine.
Si tratta di uno schermo dalla curvatura particolare, trattato in modo tale da fargli ottenere nella riflessione un comportamento simile a quello dei metalli.
Gli schermi standard delle sale cinematografiche infatti non sono adatti alle proiezioni che sfruttano questa tecnologia 3D perché non sono in grado di mantenere la polarizzazione dei fasci luminosi, nonostante offrano in confronto una luminosità ben superiore.
Per apprezzare l'effetto 3D, gli spettatori dovranno indossare un paio di occhiali le cui lenti sono polarizzate in modo coerente con il fascio luminoso emesso dal proiettore. In questo modo, ad esempio, l'immagine destinata all'occhio sinistro sarà visibile solo attraverso la lente sinistra degli occhiali, perché il filtro della lente destra non permette il passaggio di luce polarizzata secondo un diverso angolo.
Questo metodo di proiezione offre una qualità del colore nettamente superiore rispetto al metodo anaglifico perché le lenti non sono filtri cromatici.
Sono invece soprattutto due gli svantaggi di questo metodo: in primo luogo la necessità di impiegare due proiettori perfettamente sincronizzati ed orientati, in secondo luogo il minore comfort per lo spettatore, costretto a mantenere gli occhiali quasi perfettamente orizzontali.
Infatti anche solo piccoli spostamenti della testa impedirebbero ad uno o entrambi i fasci di luce polarizzata di oltrepassare il filtro degli occhiali, causano l'oscuramento parziale dell'immagine e un sgradevole sensazione di visione sdoppiata.
La tecnologia RealD Cinema ha permesso di risolvere molti svantaggi del metodo che sfrutta la polarizzazione lineare della luce, e si sta infatti affermando come standard mondiale nell'ambito delle proiezioni 3D. Il funzionamento dei due sistemi è in gran parte sovrapponibile, almeno per quanto riguarda il meccanismo di base. Anche in questo caso infatti la separazione dei frame destinati a ciascun occhio è realizzata grazie alla luce polarizzata, ma in modo differente.
Esula dallo scopo di questo articolo descrivere dettagliatamente la tecnologia RealD Cinema, per cui spiegheremo solo sommariamente in cosa consiste le polarizzazione circolare.
Come abbiamo visto, il fascio luminoso emesso da proiettore è formato da un insieme di onde elettromagnetiche il cui campo elettrico "oscilla" su tanti piani diversi.
Un polarizzatore circolare permette di ottenere, da questo gruppo disordinato di onde elettromagnetiche, solo onde che si propagano seguendo un andamento elicoidale.
Per ottenere questo effetto, la tecnologia RealD Cinema impiega un pannello a cristalli liquidi (detto Z-Screen) che induce la polarizzazione del fascio luminoso in senso sia orario sia antiorario.
Gli spettatori indossano occhiali le cui lenti sono simili a filtri polarizzatori circolari utilizzati comunemente in fotografia, ma montati in senso opposto in modo che uno di essi sia in grado di lasciar passare la luce polarizzata in senso orario e l'altro quella in senso antiorario. Questo tipo di lenti permette allo spettatore di ruotare la testa liberamente senza subire conseguenze importanti dal punto di vista della resa tridimensionale.
Anche in questo caso, per mantenere la polarizzazione e guadagnare in luminosità è necessario impiegare il silver screen come superficie di riflessione.
La tecnologia RealD Cinema utilizza un solo proiettore. Infatti, il filmato da proiettate comprende frame per l'occhio sinistro e frame per quello destro, montati in modo alternato ed in sequenza.
Mentre sono proiettati frame per l'occhio sinistro, il Z-Screen polarizza il fascio luminoso emesso in modo tale che possa essere visto attraverso la lente sinistra, mentre accade il contrario per i frame dedicati all'occhio destro.
I frame, nonostante proiettati a pochissimi millisecondi di distanza, sono percepiti nello stesso momento. L'occhio umano è infatti in grado di percepire il movimento (cioè la continuità tra fotogrammi diversi) con un minimo di 24 fotogrammi per secondo (fps): se fossero proiettati meno di 24 fps non si otterrebbe l'illusione del movimento, mentre con 24 fps (o più) ciò è possibile; in teoria la fluidità dell'immagine è maggiore con l'aumentare dei fps. Questa capacità dell'occhio umano è intuibile osservando i replay durante le gli eventi sportivi: se la ripresa è eccessivamente rallentata si può percepire un leggero sfarfallio dell'immagine.
Ogni secondo un proiettore RealD è in grado di inviare allo schermo 144 fotogrammi (dei quali 72 per l'occhio sinistro ed altrettanti per quello destro). Ciascun fotogramma (ossia ogni frame identico nel contenuto) è ripetuto tre volte; essi sono separati tra loro dal corrispondente fotogramma per l'altro occhio. In definitiva, dei 72 fotogrammi destinati a ciascun occhio, solo 24 di essi contengono un'immagine effettivamente diversa dalle altre, permettendo di raggiungere la "soglia minima" di 24 fps necessaria a percepire il movimento. Questa soluzione, detta "triple flash", permette di ridurre al minimo lo sfarfallio dell'immagine.
Un altro metodo, classificabile come "attivo" dal punto di vista dello spettatore, può essere impiegato senza schermi, filtri o proiettori particolari, e necessita solo di un paio di occhiali (detti "shutter glasses") in grado di oscurare in modo alternato i due occhi, in sincrono con la proiezione dei fotogrammi destinati all'uno o all'altro occhio.
Il funzionamento di questo sistema è abbastanza semplice e può essere impiegato sia nelle sale cinematografiche (dove tuttavia in genere si preferisce la tecnologia RealD) sia a casa, con televisori predisposti.
In entrambi i casi, allo spettatore sono sottoposti 48 fotogrammi al secondo, 24 dei quali destinati all'occhio sinistro e 24 all'occhio destro.
Gli occhiali sono sincronizzati con il proiettore o con il televisore grazie ad un segnale radio oppure grazie ad un semplice fascio di infrarossi, in modo che ad esempio la lente sinistra sia oscurata mentre è sottoposto allo spettatore il fotogramma per l'occhio destro.
Non si tratta in questo caso di vere e proprie lenti ma piuttosto di piccoli pannelli LCD, rapidamente oscurabili.
Questo sistema tende ad essere più costoso degli altri per via della manutenzione maggiore che gli occhialini LCD richiedono e per via della maggiore esposizione ai guasti, da cui sono esenti gli occhiali che non contengono parti elettroniche. Tuttavia, rispetto all'ormai obsoleto sistema anaglifico, offre una resa cromatica molto migliore non essendo necessari filtri cromatici; rispetto alle tecnologie che sfruttano la polarizzazione della luce questo sistema risulta essere meno competitivo oltre che per i costi, anche per la minore qualità dell'immagine.
L'autostereoscopia permette allo spettatore di non indossare occhiali speciali poiché il meccanismo che permette la separazione delle due immagini è solidale con lo schermo.
Sono soprattutto due i sistemi di autostereoscopia: quello che usa la barriera di parallasse e quello basato sulle lenti lenticolari.
In entrambi i casi lo spettatore deve porsi entro una certa distanza ed entro un certo angolo rispetto allo schermo per poter godere dell'effetto tridimensionale.
Per questo motivo attualmente le applicazioni dell'autostereoscopia sono abbastanza limitate; sono infatti pochi - e decisamente costosi per la fascia consumer - i televisori 3D "senza occhialini", mentre questa tecnologia è applicata allo schermo del Nintendo 3DS.
Il sistema con barriera di parallasse sfrutta l'oscuramento selettivo di determinate colonne di pixel ad uno dei due occhi e il fenomeno della parallasse. La parallasse è un fenomeno per cui un oggetto sembra spostarsi rispetto allo sfondo al variare del punto di osservazione: questo fenomeno è responsabile ad esempio dell'erronea lettura del tachimetro dell'automobile da parte del passeggero.
La barriera di parallasse è costituita da un sottile foglio dotato di fenditure parallele distanziate regolarmente e posto appena davanti allo schermo.
Per effetto della parallasse, ciascun occhio sarà in grado di vedere solo determinate colonne di pixel attraverso la barriera. Ponendosi ad una distanza prestabilita ogni occhio potrà essere raggiunto solo dai pixel che formano l'immagine ad esso destinata.
Il sistema con lenti lenticolari funziona in maniera praticamente analoga al precedente, ma davanti allo schermo è posto un sottile pannello costituito da un gran numero di "lenti di ingrandimento" cilindriche affiancate longitudinalmente: osservando lo schermo dalle due diverse prospettive proprie di ciascun occhio, ogni colonna di lenti ingrandirà e permetterà la visione solo di specifiche colonne di pixel, fornendo ai due occhi due immagini diverse.
Il pannello che rende possibile l'effetto è strutturalmente simile a quello impiegato sulle figurine plastificate il cui disegno cambia modificando l'orientamento della superficie rispetto all'osservatore.
Entrambi i sistemi sono quindi teoricamente molto semplici, ma attualmente molto costosi per via dell'enorme precisione necessaria per realizzarli in modo ottimale.
Ad oggi non esistono evidenze scientifiche certe e rilevanti a supporto della tesi secondo cui le tecnologie 3D siano responsabili (o corresponsabili) della patogenesi di disturbi e difetti a carico dell'apparato della vista.
Tuttavia, è importante notare che l'assenza di prove a sostegno della tesi non implica la sua totale infondatezza, cioè in altre parole almeno per il momento non siamo in grado di mettere in relazione con certezza i due elementi.
Sono ancora pochissimi, nella letteratura scientifica, i lavori incentrati sugli effetti potenzialmente nocivi della tecnologia 3D.
Studi di carattere generale, tra cui uno finanziato da Samsung e pubblicato sul Journal of Vision, hanno dimostrato che la sensazione di affaticamento visivo riferita dalla maggior parte dei fruitori di tecnologie 3D non è frutto di suggestione. In particolare i soggetti partecipanti al trial che hanno guardato filmati 3D hanno ottenuto punteggi peggiori nei test visivi riguardanti la percezione dello spazio circostante rispetto ai partecipanti inseriti nel gruppo di controllo (che hanno guardato filmati tradizionali 2D).
È stata inoltre notata una possibile correlazione con la distanza dell'osservatore dall'immagine: coloro che avevano osservato filmati 3D in una sala cinematografica hanno risentito dei disturbi in modo nettamente inferiore di coloro a cui sono stati sottoposti filmati 3D a distanze ravvicinate e paragonabili a quelle tra il divano ed il televisore.
Altri studi hanno invece evidenziato le possibili cause dell'affaticamento da 3D. Secondo i ricercatori, infatti, assistendo ad uno spettacolo in 3D le due componenti di un meccanismo riflesso, che ci permette di mettere a fuoco oggetti vicini o in avvicinamento, non sarebbero coordinate come avviene naturalmente. Il riflesso di "convergenza-accomodazione" è un sistema messo in atto dal cervello per adattare il potere refrattivo dell'occhio (accomodazione) e far convergere sull'oggetto vicino l'asse visivo degli occhi.
I ricercatori americani hanno verificato che, durante spettacoli in 3D, il meccanismo di convergenza non viene messo in atto (perché di fatto lo schermo è fisso rispetto alla nostra posizione), ma il meccanismo di accomodazione è continuamente sollecitato.
Mentre questi disturbi sembrano essere solo temporanei, molte persone nutrono seri timori riguardo alle conseguenze permanenti della tecnologia 3D sui bambini. A tal proposito, qualcuno sostiene che l'utilizzo prolungato di questi dispositivi possa condurre nel tempo a strabismo.
Bisogna evidenziare però che, almeno per il momento, non esiste alcun dato scientifico a supporto di queste obiezioni.
Ad oggi il parere del Consiglio Superiore di Sanità e del Ministero della Salute è affidato ad un circolare datata 17 marzo 2010, con cui si ribadisce l'assenza di "controindicazioni cliniche all'utilizzo degli occhiali 3D per la visione di spettacoli cinematografici, purché condizionato a moderati periodi di tempo di visione".
La stessa circolare sottolinea che il Consiglio ha "rilevato che qualche disturbo di ordine funzionale, senza determinare danni o patologie irreversibili, può insorgere in soggetti in tenera età, sia perché la visione binoculare non è presente o non è del tutto consolidata, sia perché essi possono essere affetti da strabismo o da altro difetto visivo (diagnosticato o meno) ".
Il Ministero della Salute inoltre ritiene l'utilizzo di occhialini 3D "controindicato per i bambini al di sotto dei sei anni di età, e che l'utilizzo dei medesimi occhiali anche negli adulti va limitato nel tempo".
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